Connettoma cerebellare e genetica in sclerosi multipla e NMO

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XX – 03 giugno 2023.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Anche se da tempo si conosce la partecipazione cerebellare alla patologia della sclerosi multipla (MS, da multiple sclerosis) ed è opinione comune fra i ricercatori che il cervelletto abbia un ruolo chiave nella patologia della principale malattia demielinizzante e dei disturbi dello spettro della neuromielite ottica (NMOSD, da neuromyelitis optica spectrum disorder), non si conosce molto circa il modo in cui lo stato patologico alteri le strutture funzionali di comunicazione del cervelletto stesso col cervello e con gli altri segmenti del sistema nervoso centrale, ossia il connettoma, e quali siano i correlati genetici di questa condizione.

Yuping Yang e colleghi hanno specificamente indagato questi aspetti, combinando dati morfo-funzionali provenienti da due numerosi campioni di pazienti, rispettivamente di MS e NMOSD, ed esplorando il rapporto tra le alterazioni di connettività e i profili di espressione genica. I risultati compongono un quadro interessante delle alterazioni e della loro origine, fornendo indicazioni significative sui meccanismi neurobiologici sia esclusivi di ciascuna patologia, sia condivisi da MS e NMOSD.

(Yang Y. et al., Cerebellar connectome alterations and associated genetic signatures in multiple sclerosis and neuromyelitis optica spectrum disorder. Journal of Translational Medicine – Epub ahead of print doi: 10.1186/s.12967-023-04164-w, 2023).

La provenienza degli autori è la seguente: Institute for Brain Research and Rehabilitation, South China Normal University, Guangzhou (Cina); School of Health Sciences, Faculty of Biology, Medicine and Health, University of Manchester, Manchester (Cina); Department of Neurology, China-Japan Union Hospital of Jilin University, Jilin (Cina); Department of Radiology, Beijing Tiantan Hospital, Capital Medical University, Beijing (Cina); Center for Neurology, Beijing Tiantan Hospital, Capital Medical University, Beijing (Cina); China National Research Center for Neurological Diseases, Beijing (Cina); Department of Radiology, Xuanwu Hospital, Capital Medical University, Beijing (Cina); Department of Radiology, The First Affiliated Hospital, Nanchang University, Nanchang, Jiangxi (Cina); Department of Radiology, Huasan Hospital, Fudan University, Shanghai (Cina); Department of Radiology, and Tianjin Medical University General Hospital, Tianjin (Cina); Key Laboratory of Brain Cognition and Education Sciences, Ministry of Education, Guangzhou (Cina); Center for Studies of Psychological Application, South China Normal University, Guangzhou (Cina).

Si propone qui di seguito un’introduzione clinica, storica ed eziopatogenetica alla sclerosi multipla, prima di esporre in sintesi il lavoro di Yuping Yang e colleghi sul connettoma cerebellare e sui profili di espressione genica associati.

Clinicamente la sclerosi multipla è distinta in 5 forme principali: la remittente-recidivante, che è la più frequente, la forma secondariamente progressiva, quella più rara che assume subito andamento progressivo, la forma acuta[1] e, infine, la sclerosi cerebrale diffusa[2]. Il sintomo iniziale in circa la metà dei pazienti è costituito da debolezza o torpore in un arto o due: all’esame neurologico spesso il paziente riferisce sintomi ad un solo arto ma si rilevano deficit, quali un Babinski positivo, anche nell’arto controlaterale. Sono avvertite parestesie e sensazioni di avere il tronco o un arto stretto da una fascia, verosimilmente per interessamento delle colonne posteriori del midollo spinale. L’esame dei riflessi tendinei inizialmente evidenzia ritardo di risposta che tende a mutare in iperattività. In generale, le manifestazioni sintomatologiche variano secondo un’ampia gamma di intensità, potendo essere sfumate o configurare vere e proprie paraparesi spastiche o atassiche. In vari casi l’emergenza clinica assume il profilo di una delle seguenti sindromi: 1) neurite ottica; 2) mielite trasversa; 3) atassia cerebellare; 4) sindromi del tronco encefalico (vertigine, disartria, diplopia, dolore o torpore faciale).

I dati su soggetti, etnie ed aree geografiche più colpite hanno costituito inizialmente un’indicazione orientativa per la ricerca sulle cause. La prevalenza maggiore è fra i Caucasici in aree con temperature medie annuali basse, ma la malattia, sia pure con una minima incidenza, è diagnosticata anche nei paesi tropicali. Fra i due sessi è maggiormente colpita la donna con un rapporto di 2:1 o 3:1[3]; le ragioni di questa differenza sono ancora sconosciute, ma il dato accomuna la sclerosi multipla a molte malattie autoimmuni[4].

Oggi, con stime epidemiologiche che superano i 2 milioni di persone affette in tutto il mondo e una prevalenza di 1:1000[5], non meraviglia che sia considerata la malattia neurologica più comune fra i giovani adulti[6]. In proposito, non possiamo dimenticare l’osservazione di Gilbert e Sadler che, dopo aver descritto cinque casi di studio autoptico nei quali sono state inaspettatamente scoperte le tipiche lesioni della sclerosi multipla in persone ritenute asintomatiche per tutta la vita, concludono che la reale incidenza potrebbe essere anche di tre volte maggiore di quella attualmente riconosciuta[7].

Eppure, fino agli anni Ottanta, ossia fino a quando sono stati introdotti criteri diagnostici e metodi basati sulla risonanza magnetica nucleare, in molti istituti neurologici la sclerosi multipla è stata considerata alla stregua di una malattia rara. È ragionevole supporre che una causa del basso numero di casi rilevati in quel periodo sia da ascriversi a falsi negativi e a numerosi casi mai giunti all’osservazione specialistica; tuttavia, non sono stati pochi i neurologi che hanno sospettato, probabilmente in relazione ad ipotesi eziologiche con un ruolo preponderante attribuito a fattori ambientali, che la malattia fosse rara in passato e si fosse verificato un effettivo e notevole incremento di persone colpite in epoca recente.

Ma, attingendo per informazioni a documenti di valore ormai storico, abbiamo conferma di una frequenza tutt’altro che bassa già nel passato, se con i limitatissimi mezzi diagnostici dell’Ottocento i neurologi edotti della sua esistenza hanno potuto lasciarci traccia di una discreta casistica[8].

All’inizio del diciannovesimo secolo la malattia, poi denominata dai neurologi britannici disseminated sclerosis e da quelli francesi sclérose en plaques, era già conosciuta, come si desume dalle accurate descrizioni pubblicate nel tempo da Carswell, da Cruveilhier e poi da Frerichs. È interessante notare che, solo dopo quel periodo, si ebbe l’interessamento da parte di Jean-Martin Charcot, in molte trattazioni indicato quale primo studioso di questa malattia. La ragione di tale attribuzione è tuttavia facile da comprendere, se si considera che il celebre chef de clinique della Salpêtrière che attrasse a Parigi il giovane Freud per i suoi studi sull’isteria, analizzò accuratamente ben 34 casi, definendo nel 1868 aspetti anatomopatologici e clinici mai rilevati in precedenza, e successivamente richiamò l’attenzione della comunità medica internazionale istituendo una fondazione per lo studio della malattia[9]. Un’altra ragione dell’oblio toccato agli studi dei neurologi che avevano preceduto Charcot è nella formulazione di ipotesi eziologiche erronee, talvolta elaborate secondo concezioni che ci appaiono anacronistiche. Ad esempio, Cruveilhier, nel suo saggio pubblicato intorno al 1835, ipotizzava all’origine della sclerosi multipla una soppressione della sudorazione.

Da quell’epoca lontana, si sono compiuti enormi progressi nella conoscenza dei processi patogenetici che portano dalle lesioni focali demielinizzanti alla sezione degli assoni e alla perdita dei neuroni con i deficit neurologici delle fasi avanzate e delle forme progressive, ma quanto alle cause della sclerosi multipla sappiamo poco più di allora e, soprattutto, troppo poco in rapporto alla responsabilità che ricercatori e medici sentono di fronte ad una sofferenza che in un numero crescente di persone chiede di essere alleviata se non eliminata.

Numerosi dati suggeriscono l’influenza di fattori ambientali sulla possibilità di sviluppare la malattia[10]. Studi sui flussi migratori indicano che il rischio di ammalarsi di sclerosi multipla è maggiore in coloro che abbiano vissuto in aree ad alta prevalenza della patologia prima della pubertà. Altre osservazioni riportano dei picchi di incidenza in riferimento ad un determinato luogo o ad un periodo particolare, suggerendo l’importanza di una variabile temporale. Simili profili di distribuzione possono far pensare ad infezioni, a fattori nutrizionali o a tossicità chimica.

L’ipotesi seguita dalle più numerose e intense indagini sperimentali è stata quella virale, con studi condotti sui virus di Epstein-Barr, Herpes simplex 1 e 2, HHV6, Varicella zoster e altri agenti eziologici degli esantemi dell’infanzia. Gran parte dell’interesse per l’ipotesi virale è derivato dal rischio di encefalomielite acuta disseminata che segue infezioni virali e dalla prevalenza di sieropositività a virus come quello di Epstein-Barr nelle persone affette da sclerosi multipla.

Anche alcuni risultati di studi volti ad accertare il ruolo di fattori ambientali hanno contribuito a confermare l’importanza della ricerca sull’eziologia genetica, nonostante siano sempre mancate evidenze per una ereditarietà mendeliana[11]. La diversa prevalenza fra gruppi etnici e la già ricordata differenza nella concordanza fra gemelli monozigoti e gemelli dizigoti hanno costituito fattori determinanti. Più recentemente l’analisi estesa all’intero genoma del polimorfismo di singoli nucleotidi ha identificato numerosi loci genici associati ad accresciuto rischio di malattia nella popolazione generale[12]. Molti polimorfismi mappano geni o loci genici associati con la regolazione immunitaria. Una forte associazione rilevata qualche anno fa è quella con l’HLA-DRB1 sul cromosoma 6p21, che sembra dar conto del 16-60% di suscettibilità genetica allo sviluppo della malattia. Il prosieguo della ricerca sta identificando un numero sempre crescente di loci genici verosimilmente legati alla possibilità di sviluppare un disturbo neurologico clinicamente rilevante, pertanto l’opinione più seguita fra i genetisti è che, se si dimostrerà che la sclerosi multipla è in senso stretto una malattia genetica, sarà definita come un disturbo complesso nel quale molti geni polimorfici interagenti hanno una bassa penetranza ed esercitano un piccolo effetto sul rischio patologico complessivo[13][14].

In circa il 25% dei pazienti affetti da sclerosi multipla la manifestazione clinica iniziale è un episodio di neurite ottica; poiché il nervo ottico è in realtà un tratto di sostanza bianca cerebrale, non si tratta della patologia di un nervo ma di una sede cerebrale elettiva di lesioni localizzate in tutto il SNC. Dopo un periodo di alcuni giorni si verifica una parziale o totale perdita della vista a un occhio. Molti pazienti per un giorno o due prima della perdita visiva sperimentano dolore intra-orbitario, accentuato dai movimenti dell’occhio. Spesso si rileva uno scotoma che include l’area maculare e il punto cieco della retina, ma si può avere una varietà di differenti alterazioni del campo visivo. Spesso la testa del nervo ottico appare integra e, in tal caso, si configura la neurite retrobulbare.

Circa la metà dei pazienti affetti da neurite ottica guarisce completamente, la maggior parte dell’altra metà migliora significativamente, anche coloro che inizialmente lamentano una grave perdita della vista e successivamente pallore del disco ottico. Nei casi in cui si hanno miglioramenti, generalmente cominciano entro le 2 settimane dall’inizio dei sintomi di neurite ottica; i miglioramenti possono proseguire per vari mesi.

Più di metà dei pazienti adulti che presentano neurite ottica svilupperanno sclerosi multipla.

Torniamo ora allo studio qui recensito.

Yuping Yang e colleghi hanno combinato i dati di risonanza magnetica multimodale (MM MRI, multimodal magnetic resonance imaging) con quelli trascrizionali estesi a tutto l’encefalo. In particolare, sono stati studiati 208 pazienti affetti da sclerosi multipla (MS), 200 pazienti affetti da disturbi dello spettro della neuromielite ottica (NMOSD) e 228 volontari senza alcuna malattia neurologica e in apparente buona salute. Studiando la connettività funzionale del cervelletto nelle due patologie e nei sani, i ricercatori hanno distinto il profilo della connettività intra-cerebellare da quello delle connessioni attive soprattutto tra cervello e cervelletto, sia nella caratterizzazione anatomica sia in quella fisiopatologica in MS e NMOSD. I dati sono stati raccolti e analizzanti rilevando gli elementi convergenti e gli elementi divergenti tra il profilo di alterazione morfo-funzionale delle connessioni intra-cerebellari e cerebello-cerebrali, anche in rapporto agli esiti dello studio sui profili di espressione genica.

Esaminiamo in sintesi i risultati emersi. Nonostante il rilievo di numerose alterazioni comuni a MS e NMOSD, sono stati trovati incrementi diagnosi-specifici nella connettività morfologica cerebellare nella MS all’interno del modulo motorio secondario del cervelletto e nelle NMOSD tra il modulo motorio primario cerebellare e le aree cerebrali motorie e sensoriali correlate.

Entrambe le patologie presentavano anche una ridotta connettività funzionale tra i moduli motori cerebellari e le aree associative della corteccia cerebrale, con riduzioni specifiche per la MS all’interno del modulo motorio secondario del cervelletto, e riduzioni specifiche per le NMOSD tra i moduli motori cerebellari e le regioni del cervello appartenenti al lobo limbico e alla rete di default.

Consideriamo ora i due risultati principali ottenuti da Yuping Yang e colleghi dallo studio genetico trascrizionale:

1)      i dati trascrizionali spiegano più del 37.5% della variazione delle alterazioni funzionali cerebellari nella MS con i geni più correlati appartenenti ai processi di segnalazione e trasporto ionico e preferenzialmente localizzati nei neuroni eccitatori e inibitori;

2)      nelle NMOSD vi sono dati simili, ma i geni più strettamente correlati sono espressi in astrociti e microglia.

Il complesso dei dati emersi e degli elementi concettuali deducibili dallo studio consente di distinguere i tre gruppi, di MS, NMOSD e sani, in base alla connettività cerebellare, in particolare in questo modo:

a)      la connettività morfologica contiene il maggior numero di elementi per distinguere in modo efficace i pazienti delle due patologie dai sani del gruppo di controllo;

b)      la connettività funzionale consente di distinguere tra le due patologie e offre un profilo differenziale tra MS e NMOSD.

 

In conclusione, lo studio qui recensito ha dimostrato alterazioni connettomiche convergenti e divergenti tra MS e NMOSD associate a contrassegni trascrizionali distintivi, fornendo nuovi elementi per lo studio dei meccanismi neurobiologici sottostanti le due patologie.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-03 giugno 2023

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Malattia di Marburg e sclerosi multipla tumefattiva.

[2] Malattia di Schilder e sclerosi concentrica di Balo.

[3]  Per la ratio 2:1, v. Bradl M. & Lassmann H., Multiple Sclerosis, in Neuroglia (Kettenmann & Ransom, eds), p. 785, Oxford University Press, New York (USA), 2013; per la ratio 3:1, v. Adams and Victor’s Principles of Neurology, Tenth Edition, p. 917, McGraw Hill, 2014.

[4] D’altra parte la demielinizzazione si associa a malattie autoimmuni, quali SLE, malattia di Sjögren e sindromi correlate.

[5] La prevalenza media di 1:1000 abitanti in Nord America ed Europa Centro-Settentrionale comprende stime come quelle di Mayr nel Minnesota di 177 casi per 100.000 (Olmstead County) e di 30/80 per 100.000 in Nord USA e Europa. Invece, nel meridione di USA ed Europa, la prevalenza è da 6 a 14 per 100.000. Nelle aree tropicali è rara con una prevalenza sempre inferiore all’unità per 100.000 abitanti (Cfr. Adams & Victor’s, p. 917, McGrawHill, 2014).

[6] Spesso diagnosticata fra i 20 e i 40 anni: si vedano le righe introduttive in Note e Notizie 06-02-16 Nella sclerosi multipla un sorprendente comportamento delle cellule NK; Cfr. Bradl M. & Lassmann H., Multiple Sclerosis, in Neuroglia (Kettenmann & Ransom, eds), p. 785, Oxford University Press, New York (USA), 2013.

[7] Cfr. Adams and Victor’s Principles of Neurology, Tenth Edition, p. 917, McGraw Hill, 2014.

[8] Compston A., Lassmann H., McDonald I., The history of multiple sclerosis, pp. 69-112 in McAlpine’s Multiple Sclerosis 4th ed. Churchill Livingstone, New York 2006.

[9] Questa iniziativa, a un secolo di distanza, ispirò Rita Levi-Montalcini per la costituzione dell’AISM.

[10] Compston A. & Cole A. Multiple Sclerosis. Lancet 372, 1502-1517, 2008. Cfr. Staugaitis S. M. & Trapp B. D., Diseases Involving Myelin, pp. 691-704 in Basic Neurochemistry (Brady, Siegel, Albers, Price), AP, Elsevier, 2012.

[11] V. nota 10.

[12] Cfr. Australia and New Zealand Multiple Sclerosis Genetics Consortium (ANZgene), 2009; De Jager et al. Nature 41, 776-782, 2009.

[13] Staugaitis S. M. & Trapp B. D., op. cit., p. 696.

[14] Note e Notizie 11-06-16 Trovata la prima mutazione che spiega la sclerosi multipla.